Quella
pergamena scritta col sangue.
I monasteri benedettini della congregazione di
Subiaco, e in modo speciale il monastero di Monserrat nella Catalogna in
Spagna, e Belloc in Francia, ebbero lungo il XX secolo un rapporto speciale con
l’oriente cristiano di tradizione siriaca. Specialmente P. Bonaventura Ubach, monaco
di Montserrat, spese tutta la sua lunga vita nel prossimo
Oriente, nello studio della lingua siriaca, delle tradizioni delle Chiese
cristiane che da duemila anni si trovavano in quelle terre benedette; Terra
Santa, Libano, Siria, la Mesopotamia, furono a lungo peregrinate da questo
monaco che amò e fece conoscere le ricchezze letterarie, liturgiche e
soprattutto umane di queste Chiese. Inserito in questa tradizione “orientale”
di Montserrat, e in occasione della mia ordinazione sacerdotale, un amico
monaco eremita mi fece il regalo di una bella edizione della Bibbia di Mosul. Si
trattava di una ristampa del 1950 curata dai padri domenicani di questa città
irachena, e che riproduceva quell’edizione del 1888-1892, che a sua volta riprendeva
edizioni anteriori e le completava. La
grande edizione di Mosul della Bibbia secondo la Peshitta, edita dal metropolita siro-cattolico
di Damasco Mor Clemens Joseph David, e con una prefazione del metropolita caldeo
di Amid (Diyarbakir), Jirjis ‘Abdisho‘ Khayyat, è infatti un testo biblico
importante che include anche alcuni libri biblici che non si trovano nella
versione della Bibbia ebrea. Il dono di questa edizione della
Bibbia di Mosul mi fece piacere non soltanto per il pensiero dell’amico monaco,
ma anche perché si trattava di un’edizione della Bibbia molto utile per
qualsiasi studioso delle tradizioni cristiane siriache a livello biblico,
patristico e liturgico. Oggi che la vita dei cristiani a Mosul e in tutta quella
regione della Mesopotamia viene calpestata, perseguitata, violentata,
quell’edizione biblica acquista un valore quasi di testimonianza di fronte al martirio
di quei cristiani che da quasi duemila anni confessano l’unico Dio, Padre
Figlio e Spirito Santo, e lo fanno nella lingua che fu quella del Verbo di Dio
incarnato.
Mosul, città custode e
possiamo dirlo apostolo della Parola di Dio, oggi è diventata custode del
sangue dei martiri. Bruciate le case, bruciate le biblioteche, bruciata e
distrutta una tradizione cristiana di quasi due millenni. Zone cristiane, tutto
il Prossimo Oriente, popolate da monaci e monache, da cristiani di tante
confessioni ecclesiali cattoliche ed ortodosse: siro orientali, siro
occidentali, armeni, latini… che in duemila anni hanno imparato a vivere
insieme e condividere una vita cristiana semplice, povera, non facile, ma
sempre segnata dalla tolleranza, la riconciliazione, la vera fratellanza. Fratelli
nostri cristiani che ultimamente non soltanto subiscono persecuzione a causa
del nome di Cristo, ma che lì in quei luoghi che sono loro da duemila anni, non
ci sono più. La voce dei pastori delle Chiese cristiane in quei luoghi non
soltanto ci allertano ma ci dicono che i cristiani a Mosul e nelle vicinanze
non ci sono più.
In questi giorni il patriarca
siro cattolico Ignazio Giuseppe III
Younan ha fatto una forte denuncia dei fatti che lì accadono in questi termini:
“Non esiste assolutamente nessuna ragione per attaccare
innocenti cristiani e altre minoranze a Mosul e altrove. Non c’è nemmeno una
ragione per distruggere luoghi di culto, chiese, vescovadi, parrocchie, nel
nome di una cosiddetta organizzazione terrorista che non ascolta la ragione e
non bada alla coscienza. Noi con rammarico diciamo che il nostro arcivescovado
a Mosul è stato bruciato totalmente: manoscritti, biblioteca; E hanno già
minacciato che, se non si convertiranno all'islam, tutti i cristiani saranno
ammazzati. È terribile! Questa è una vergogna per la comunità internazionale”. Inoltre il patriarca caldeo Louis Raphael
I Sako e tutti i vescovi caldei, siro cattolici, siro ortodossi e armeni del
nord dell’Iraq radunati ad Ankawa, alla periferia di Erbil, chiedono la tutela
necessaria verso i cristiani e le altre minoranze perseguitate. Inoltre
invitano ad evitare la distruzione di chiese, monasteri, manoscritti, reliquie
e tutta l’eredità cristiana, patrimoni iracheno e di tutta l’umanità.
Distrutte biblioteche,
distrutte chiese, distrutte icone, distrutti tanti volumi scritti sulla pergamena,
quella pelle di pecora asciugata, stirata, lavorata, dove gli antichi monaci in
quelle terre benedette trascrivevano la Parola di Dio, i testi dei Padri, i
canti di lode delle chiese cristiane; quelle pelli benedette che contenevano la
lode del popolo di Dio sono ormai perse, distrutte, bruciate; viene quasi da
dire che rimane soltanto la pelle dei cristiani, lavata, unta e alimentata dal
battesimo, dall’unzione col crisma e dalla santa Eucaristia, pronta perché vi
si scriva non più in caratteri di inchiostro ma in caratteri di sangue.
Un
nuovo massacro cristiano oggi in Iraq, in Siria, in tutto il Prossimo Oriente. Maaloula
e Saydnaia in Siria mesi fa persero i loro tesori di chiese, monasteri,
biblioteche, icone… e soprattutto persero tante delle vere icone del Signore
che sono i cristiani. Oggi a Mosul, e in tanti altri posti in Iraq, le
popolazioni vengono derubate, schernite, lasciate nel bel mezzo del deserto
quello fisico, arido e senz’acqua, quasi ad echeggiare il salmo, e soprattutto quello
spirituale creato attorno a loro dal silenzio, dall’indifferenza di tanti e
tanti, magari anche cristiani, che tacciono, che non possono, non osano o non
vogliono far sentire la loro voce. La voce delle Chiese cristiane e dei loro
pastori, da quella di Roma e del suo vescovo che presiede nella carità e oggi
anche presiede nella sofferenza le Chiese sorelle, fino a quelle Chiese e dei
pastori presenti in quei luoghi dove i cristiani testimoniano e annunciano il
vangelo della riconciliazione e della pace, questa voce unisona si alza nella
preghiera, nel grido forte al non oblio, alla non omissione, alla denuncia di una
sofferenza e di una persecuzione palese agli occhi di tutti gli uomini. Voce
dolente ed angosciata di pastori delle Chiese che vedono i loro figli scappare,
soffrire e morire per il fatto di portare il nome di Cristo e vivere come
cristiani.
Nei primi secoli della Chiesa, uomini e
donne andavano nel deserto, per trovare lì la vita vera che essi cercavano,
nell’incontro con l’Unigenito nella loro solitudine e nella comunione
all’interno delle Chiese cristiane. Oggi tanti cristiani, uomini, donne, anziani
e bambini, vengono non portati ma gettati nel deserto per morire lì; un deserto
dove nella fedeltà alla loro confessione di fede, trovano il vero testimone, il
vero martire, Colui che dalla croce perdonò i suoi persecutori. Di nuovo, alla
soglia del centenario del martirio di milioni di cristiani armeni, siro
orientali e siro occidentali, di nuovo la fede cristiana viene messa alla
prova.
“È proprio una vergogna!” ammonisce ancora il patriarca siro
cattolico. “Chiediamo alla comunità internazionale di essere fedele ai principi
dei diritti umani, della libertà religiosa, della libertà della coscienza. Noi
siamo in Iraq, in Siria e in Libano: noi cristiani non siamo stati importati,
siamo qui da millenni e, quindi, noi abbiamo il diritto di essere trattati come
esseri umani e cittadini di questi Paesi…”. Facciamo nostra questa voce
dolente ed angosciata di pastori delle Chiese che vedono i loro figli fuggire, soffrire
e morire per il fatto di portare il nome di Cristo.
P. Manuel
Nin
Pontificio
Collegio Greco
Roma
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